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Né difese né protette, grazie

afghanistan donne col kalashnikov

Un kalashnikov alle donne afgane.

Sui social, in questi giorni, gira un post che recita: “Se invece che addestrare 300 mila afgani avessero addestrato 300 mila afgane, i talebani non sarebbero riusciti ad avanzare di un metro!”. Trovo che pur banalizzando il problema, questa frase abbia centrato il punto. Sappiamo che chi è disperato e non ha nulla da perdere si gioca il tutto per tutto. Non faccio fatica a immaginare una di queste donne terrorizzate, che in questi giorni si chiude in cantina aspettando l’ineluttabile destino che sfonda a calci la porta per rapirla, stuprarla o anche peggio, comportarsi in maniera assai diversa con un kalashnikov a disposizione e la sicurezza di saperlo usare.

Non che io sia una persona dall’indole violenta, e non immagino lo siano nemmeno la grande maggioranza delle donne afgane. Ma davanti alla prospettiva di una fine orrenda, chiunque si vende cara la pelle. Questo però non può accadere, perché raramente le donne hanno la sicurezza, la determinazione e l’istinto di difendersi. E cerco di capire il perché partendo da lontano.

L’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri è stata pubblicata nel 1751 dando di fatto vita alla rivoluzione industriale, e da allora fino alla rivoluzione digitale la forza fisica è stata un requisito via via sempre meno dirimente nell’evoluzione umana, rendendo di fatto più facile per chiunque compiere tutte quelle operazioni necessarie alla sopravvivenza degli esseri umani. In linea puramente teorica da due secoli e mezzo le donne hanno, pur con una innegabile minore forza fisica, la stessa possibilità degli uomini di far funzionare i macchinari che faticano al posto loro. Se sanno far funzionare una lavatrice possono senza dubbio progettarne una, assemblarla e trasportarla fino alla loro elegante cucina provvista di deliziose tendine. Eppure non è così.

La rigida separazione dei ruoli non è stata minimamente intaccata dal progresso tecnico-scientifico. Inutile e superfluo ripercorre la storia di tutti quei veti, divieti, ostracismi e pregiudizi che gli uomini hanno così pervicacemente messo in campo in ogni epoca per rimanere i “padroni del vapore” anche nel nostro civilissimo primo mondo. Eppure non c’è capo di stato che non si indigni per la disparità salariale, la carenza di opportunità e gli ostacoli che a vari livelli impediscono una parità che parrebbe – a una mente razionale – assolutamente scontata. Ma non è di questo che vorrei parlare.

Vorrei invece focalizzare l’attenzione sulla percezione che non soltanto gli uomini, ma anche molte donne, hanno del femminile. Cresciamo sentendoci deboli e inadatte. Siamo le prime a percepire la nostra esistenza come fragile e non in grado di svolgere attività per le quali non solo non è richiesta alcuna forza fisica, ma addirittura per quelle mansioni che richiedono una competenza tecnico scientifica minima. Eppure, ripeto, lo sappiamo fare e lo facciamo tutti i giorni. Naturalmente non tutti gli uomini e le donne la pensano così, ma è innegabilmente diffusa la consuetudine di pensarci “meno” dei nostri compagni di viaggio dotati di maggior testosterone. Le ragioni sono a mio parere profondamente culturali e così radicate da far mancare il fiato. Certi processi sono spesso inconsci e indotti anche dalla cultura dominante, che tartassa con modelli prefabbricati dalla mattina alla sera sia i bambini che le bambine.

Faccio qualche esempio alla rinfusa per farmi capire meglio. Alcuni sono un po’ stupidi, portate pazienza. Ho amiche colte, femministe e laureate che aspettano il fidanzato per farsi montare il mobiletto dell’Ikea, che insieme alle parti da assemblare include naturalmente anche il libretto delle istruzioni. Ci riesce anche il mio gatto, per dire.

E ancora, quando una bambina prende le botte da un compagno (o una compagna) all’asilo le viene detto di non reagire (la violenza è una cosa brutta, giustamente) e di andare a dirlo alla maestra. Naturalmente ai bambini (di nascosto, alle nostre latitudini) i papà e i fratelli più grandi spiegano come assestare un bel cazzotto, perché insomma, bisogna anche imparare a difendersi! Credo che siano giuste entrambe le cose, per entrambi i sessi. Anzi io metterei una regola universale: la prima volta avvisi gentilmente che non gradisci le manifestazioni manesche; la seconda avvisi la maestra, la terza tiri un cazzotto (ma forte, a tradimento) e scappi come un leprotto. Adesso ti insegno come fare. E sì, perché purtroppo certe persone non sentono davvero ragioni. Un po’ come i talebani.

Altro esempio: ci fate caso ai giornali, ai post sui social, alle tv quando parlano di violenza e maltrattamenti ai danni di una donna? Le immagini le rappresentano sempre rannicchiate in un angolo, impaurite, inermi, con le mani a coprire il viso e le calze strappate. Ci stanno dicendo: tu-sei-una-vittima. Questo è il tuo destino. Ci vuole un altro uomo, un uomo buono, che ti salvi, ti difenda, ti protegga. Prima del movimento #metoo anche Hollywood e la letteratura di genere non facevano eccezioni. Il serial killer rapiva e faceva cose orrende alle donne che manco provavano difendersi: urlavano, piangevano, supplicavano. La disfatta era un destino ineluttabile. Non c’è salvezza, per le donne, se non ci sono uomini eroici a salvarle. Ora, io gli voglio tantissimo bene agli uomini eroici che mi salvano se sono nei guai, ma il punto purtroppo non è questo…

Il punto è pensarsi forti abbastanza da incazzarsi abbastanza. Il punto è pensare di potersi anche far valere, di giocare sull’effetto sorpresa – finché sarà una sorpresa – davanti a un uomo che ti aggredisce dando per scontato che non ti difenderai, che subirai passiva il suo terrore. Terrore che lo esalta e lo fa sentire potente. L’arma più affilata che ha e che possiamo almeno tentare di spuntare.

Quando, in 20 anni di occupazione, l’esercito americano e i suoi alleati non hanno nemmeno pensato di offrire alle donne la stessa opportunità di istruirsi e addestrarsi che hanno dato agli afgani, hanno ragionato esattamente come i talebani. Le donne non sono mai soggetto, non si autodeterminano, non fanno valere le loro ragioni e non combattono per la propria libertà. La storia ci ha insegnato che non è affatto così. Ma noi – donne e uomini – continuiamo a pensarlo. Da femminista e pacifista mi spiace dirlo, ma se potessi inviare un pacco alle mie sorelle afgane oggi, manderei un libro e un fucile.

Da qui non ho scelta, ma vorrei che almeno loro l’avessero.

Immagine: fotografo anonimo, donne boxeur, 1880 circa, Public domain

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