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Storia di un medico molto bravo e di me che lo prendo in giro sulla cannabis

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Su come le competenze non sono illimitate per nessuno

Conosco un medico, ora in pensione, che era un genio dell’infettivologia. Non esagero. Era uno che leggeva gli esami del sangue come fossero tarocchi: un diagnosta eccezionale, intuitivo, coraggioso, rigoroso. È stato in equipe pioniere di tante sperimentazioni mediche, a volte malviste anche dai colleghi. Ma quando gli argomenti sono solidi e i dati verificabili, anche i più rigidi non possono che riconoscere i risultati.

Non gli ho mai sentito dire “io”, ma sempre “noi”. Non è mai andato a sculettare in tv e tanto meno sui social, non ha mai anticipato le sue ipotesi sulle ricerche in corso finché non era sicuro dell’esito di una peer review. Se prendeva un abbaglio, lo ammetteva serenamente, perché sapeva che è così, che progredisce la scienza: tra false piste, speranze disattese, vicoli ciechi e intuizioni rivoluzionarie.

Gli voglio bene come persona e lo stimo come medico. Anzi sfioro l’adorazione, perché nel suo campo è uno tosto per davvero. Eppure questo uomo così eccezionale era genuinamente convinto che chi si fosse fatto le canne sarebbe presto passato all’eroina. La sua era una convinzione morale, radicata nel suo percorso personale, nei suoi bias cognitivi, nei condizionamenti della sua epoca, nell’aver vissuto da medico il massacro dell’eroina negli anni Ottanta.

Era perfettamente conscio di non avere competenze tossicologiche, psicologiche o sociologiche per sostenere la correttezza di questa relazione causa-effetto, e non avrebbe mai affermato una cosa del genere in pubblico né in un contesto ufficiale o accademico. Ma prendendo il caffè ne parlavamo di tanto in tanto, e io lo prendevo moltissimo per i fondelli, con dolcezza, dicendo che se questo fosse vero, la metà del mondo si farebbe le pere, io in cima alla lista.

E lui conveniva con me, a rigor di logica, ma questo non cambiava la sua percezione della cosa. La morale di questa storia si intuisce facilmente: occhio ai fisici che parlano di climatologia, ai pneumologi che parlano di virologia, agli accademici che si spacciano per tuttologi. Le discipline sono interconnesse e lo devono essere, ma un vero studioso conosce i propri limiti di competenza e si consulta con altri esperti, se sa di sconfinare dal suo campo. Nessuno può essere esperto di tutto. Bisogna imparare a riconoscere le competenze vere. E non credo ci sia cosa più difficile al mondo, purtroppo.

P.s. Sugli effetti e le proprietà della cannabis ci sono moltissimi studi in corso, sia medici e terapeutici, sia sociologici e psicologici. Questi ultimi non prendono in considerazione solo la cannabis ma le sostanze come risposta sociale o individuale a bisogni specifici. Su questi studi gli esperti denunciano un enorme ritardo a causa, proprio, dei pregiudizi. Non solo di quelli politici e sociali, ma anche di medici e ricercatori.

Immagine: foto cronaca, 1931, protesta antiproibizionista in New Jersey. Immagine manipolata con finalità satiriche, la scritta originale è “We want beer”

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